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Scuole chiuse al sabato: scelta migliorativa o segnale politico?

Antonio Grande - DSGA

La recente proposta di articolazione dell'orario di lezione su 5 giorni impone una riorganizzazione delle didattica, dei servizi correlati e della logistica: come superare un cambiamento di complessa attuazione, anche tenuto conto delle peculiarità del POF di ogni singola Istituzione Scolastica?

Nella lunga e travagliata storia della Scuola Italiana, più volte ci si è imbattuti in riforme fortemente volute dai vari Governi di turno, ma tali riforme spesso si sono rivelate carenti in quanto non hanno saputo individuare la centralità dell’allievo rispetto ad un percorso di studi da intraprendere attraverso i vari cicli dell’istruzione e la possibilità di inserimento dello stesso nel complesso mondo del lavoro. Appare, all’uopo, degna di notazione la recente proposta di alcune Province di articolazione dell’orario di lezione su 5 giorni, che imponendo una riorganizzazione generale della didattica, dei servizi correlati e della logistica afferente, si prospetta di complessa attuazione, anche tenuto conto delle peculiarità e tipicità del POF delle singole Istituzioni Scolastiche.

Alcuni Enti Locali infatti, nello specifi co proprietari degli immobili in cui operano Istituzioni Scolastiche secondarie di secondo grado, hanno programmato (nel caso di Genova e provincia già adottato dal 1° settembre 2014, per Milano e Parma ancora in fase di discussione), delibere di chiusura delle scuole al sabato riconducendone “la ratio” esclusivamente a motivi di natura economica quali il forte risparmio sulle spese per il riscaldamento invernale nonché su quelle per le corse dei bus adibiti al trasporto degli allievi. Tanto per dare un contributo alla soluzione delle crescenti diffi coltà di bilancio originate anche dal sensibile taglio delle risorse effettuato dall’Amministrazione Centrale nei loro confronti.

Per la verità, l’Ente Locale non può imporre la chiusura del sabato per espressa norma regolamentare (DPR 275/99); la scelta sulla ripartizione dell’orario su 5 o 6 giorni è di esclusiva competenza delle Istituzioni Scolastiche che, in molte realtà e su tutto il territorio nazionale, è stata adottata da numerose Istituzioni Scolastiche, con ottimi risultati, anche per il primo ciclo. Risulta evidente che tale scelta deve tener conto del contesto in cui l’Istituzione Scolastica opera, e deve essere inserita nel POF con motivazioni didattiche adeguate ed organizzative ben rappresentabili dal DS. Su questo fronte anche le opinioni dei Dirigenti Scolastici, dei docenti, del personale ATA, delle famiglie e degli studenti sono sostanzialmente non uniformi. La critica che più di frequente e, da più parti, viene espressa riguarda la difficoltà di trattenere gli studenti, dal lunedì al venerdì anche fi no alle ore 15,00, comprimendo così il tempo utile per lo studio individuale ed aggravando il “peso” dell’apprendimento in classe.

I sostenitori della chiusura al sabato, invece, ritengono che gli allievi, pur prolungando quotidianamente il tempo-scuola, avrebbero a disposizione un giorno in più di riposo per ritemprarsi dalle fatiche psico-fi siche patite nei 5 giorni settimanali. A questo punto ci chiediamo, senza la pretesa di voler entrare nel merito delle scelte della politica locale, se la chiusura “sic et simpliciter” delle scuole il sabato rappresenti solo un sistema per “razionalizzare” la spesa e far arrivare altresì al governo centrale il messaggio che si opera facendo di “necessità virtù” oppure, come da talune parti ventilato, se questa scelta rappresenti un modo per avvicinare la Scuola Italiana a quella Europea, dando la possibilità agli allievi di fruire di un reale week-end di riposo settimanale per riordinare le idee e razionalizzare il metodo ed i tempi di apprendimento.

In sintesi estrema chiudere il sabato può essere defi nita una scelta migliorativa o è da interpretare come un segnale politico nei confronti del Governo fi nalizzato ad una maggiore apertura nei Finanziamenti agli Enti Locali? Ed ancora, come si porrà il Governo di fronte a tali eventuali delibere, considerato che in più occasioni lo stesso ha ipotizzato scuole maggiormente fruibili per l’utenza con la possibilità di aprire le porte delle aule, dei laboratori, delle palestre, offrendo l’opportunità di una maggiore integrazione e interazione dell’utenza con la scuola stessa e con tutte le sue componenti.

Solo il futuro potrà dipanare i molteplici dubbi sulla questione ed a noi non resta che attendere lo sviluppo degli eventi. L’unica considerazione che al momento ci sentiamo di provare a formulare è che, a prescindere dalle diatribe, fi siologiche e non, tra le varie correnti di pensiero, e dalle dialettiche, di natura prevalentemente ideologica, tra i fautori dell’una o dell’altra soluzione, lo Stato dovrebbe avere bene in mente che l’istruzione delle giovani generazioni rappresenta il settore dove investire maggiormente in prospettiva di un futuro, corretto ed ottimale percorso formativo che sfoci in una reale possibilità di occupazione a tutti i livelli.

Al fine di ripristinare, secondo diritto, le competenze dei vari Organi della Pubblica Amministrazione preposti ad operare scelte che incidono sui nostri giovani, sarebbe auspicabile che fossero indette Conferenze di Servizio tra Stato e Regioni, per trovare un punto di incontro che possa contemperare le esigenze “politiche” e le prerogative “didattiche” nel rispetto delle reciproche attribuzioni e competenze istituzionali in materia. Un Paese civile e moderno, anche e soprattutto in periodi come il presente di forte crisi, deve sforzarsi in ogni modo di reperire risorse congrue ed adeguate da destinare all’istruzione e formazione dei giovani, interrompendo la spirale perversa e fortemente penalizzante che nel corso degli ultimi decenni, causa precise responsabilità legate a scelte politiche ed economiche, ha prodotto le conseguenze drammatiche che sono sotto gli occhi di tutti e che a gran voce l’Unione Europea ci chiede di rimediare.

Pubblicata il 09 dicembre 2014

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